«Più vado forte, più mi diverto»: Lorenzo Suding è pronto per la nuova stagione, con un nuovo team
Presentare Lorenzo Suding su MTBnews.it è ormai superfluo. L’italo-tedesco ha tenuto durante tutta la passata stagione il diario personale su questo sito, raccontandoci dal vivo la stagione in cui si è laureato campione italiano a Collio, nella quale è arrivato quarto al campionato europeo di Kranjska Gora, 31esimo al mondiale di Canberra e in cui è stato quasi sempre il miglior tricolore in coppa del mondo.
Lorenzo si è infortunato più volte, si è rialzato sempre in fretta, ha dato spettacolo e ha raccontato ciò che ha fatto, con uno stile unico che ha raccolto successi tra i lettori. Per il 2010 cambierà squadra, ma il progetto è ancora top secret: noi di MTBnews.it non gli abbiamo chiesto di ripetere il suo diario, credendo che fosse ormai stanco di scrivere. Invece è stato proprio lui a proporci di riproporre la rubrica anche per la stagione che ha inizio. Lorenzo quindi scriverà ancora il suo “racing diary”. E ora risponde a qualcuna delle nostre domande.
Cominciamo dalle cose banali: qual è l’aspetto che ti piace di più di andare in bici?
Sì… mi chiedi questo? Vado via! Davvero me lo chiedi? Non è possibile!
(ride) Mi piacciono i momenti in cui pensi di aver perso il controllo, e invece lo riacquisti. I jolly mi piacciono, anche perché ne faccio un sacco. Mi piace divertirmi con gli amici, andare forte: più vado forte e più mi diverto. E’ il mio motto da sempre, mi piace auto-gasarmi, ed è facile, basta che apri il gas e ti diverti.
Ormai è una droga, la voglia di girare e di battere gli altri è una cosa che ti spinge ogni settimana in sella, a voler andare più forte e a voler vincere di più. E’ la competizione che mi fa andare avanti.
Sei soddisfatto della tua stagione 2009?
Sì, totalmente.
Avrei potuto fare ancora meglio, ma con le risorse che ho avuto quest’anno ho fatto il massimo. Già vincere l’italiano cambia una stagione, e poi nelle altre gare non sono mai andato male: quarto all’europeo a Kranjska Gora, 23esimo a Maribor e 27esimo a Fort William in coppa. Quattro o cinque risultati di prestigio li ho fatti.
(ride, di nuovo…) La Desarpa bike poi, è l’highlight della stagione.
La gara peggiore della stagione?
La prima, ad Agnona, c’era l’alluvione e un’argilla che non ti faceva andare avanti. Mi piace un sacco come percorso, ma bagnato è improponibile. Una delle gare più difficili mentalmente è stata la tappa di coppa ad Andorra, quando ho battutto la coscia su una pianta, e la gamba mi faceva malissimo. Era difficile da sopportare, non riuscivo a muovermi, ma con l’aiuto di Martin “the masseuer“, il pazzo inglese che fa da massaggiatore a tutti i pro’, sono riuscito almeno a correre per onorare la gara.
A proposito di infortuni, ti sei ripreso dall’ultima frattura?
Sì, al cento per cento. Alla festa che hanno organizzato i Black Arrows a Vétan (una località in Valle d’Aosta, sulla collina di Saint-Pierre, ndr) abbiamo organizzato un photoshooting, scegliendo un grosso road-gap in discesa di 12-15 metri. Sono atterrato corto e mi sono rotto il perone. Ho recuperato in un mese, adesso sono in forma e faccio già scialpinismo e snowboard freestyle senza problemi. Devo ringraziare molto la famiglia Bionaz, Ornella, Paolo e Davide, che mi ha trattato come un re per un mese e mi hanno aiutato tanto.
Lo scorso anno, quando ha annunciato il ritiro, Alan Beggin ha dichiarato di non voler lasciare la sua eredità a nessuno, perché non vedeva nessuno in grado di ripetere ciò che lui aveva fatto. Riguardo al 2009, pensi di averla raccolta?
Tecnicamente si può dire che io abbia raccolto l’eredità di Alan, vincendo l’italiano. Ma solo con quello: in coppa sono stato il più forte degli italiani, generalmente, ma sono tante le cose differenti. Quest’anno Marco Milivinti e Claudio Cozzi sono stati sottotono, io ho sbagliato un paio di gare: Beggin era più costante.
Secondo me Alan manca al downhill italiano, lo rispettavo molto e lo ritenevo il discesista più forte, il più professionale: mi sarebbe piaciuto sfidarlo e magari batterlo. Io gli voglio molto bene e lo apprezzo come persona e come atleta, ma è chiaro che vorrei batterlo come atleta. Non so cosa sarebbe successo se lui ci fosse stato, quest’anno.
Cosa manca al downhill italiano per arrivare a buoni risultati in coppa?
Non lo so e non voglio dire cretinate: sono troppi gli elementi, prima di tutto la mentalità. A noi non piace girare quando c’è brutto tempo, quando fa freddo. Non abbiamo specialisti della pioggia e del fango. Non siamo disposti a dare tutto in gara, non siamo per natura competitivi, come i francesi o i britannici. Non siamo motivati, spesso abbiamo paura e ci manca arroganza per dare tutto, dal cancelletto al traguardo.
La Gran Bretagna, che fino a 10-12 anni fa non aveva nessuno, ora piazza regolarmente cinque atleti nei primi dieci. Cos’è cambiato dai tempi in cui a Peat e Warner noi rispondevamo con Hérin, Zanchi, Bonanomi, Migliorini? Cos’hanno fatto gli inglesi più di noi?
In Gran Bretagna non c’è la tradizione della bici, come qui da noi. In UK c’è forse più gente che gira assieme, i più forti fanno la vita dell’atleta e si allenano per andare forte. Hanno una chioccia come Steve Peat, che da sempre cerca i suoi connazionali più forti e gli dà spazio con lui, come ha fatto con Marc Beaumont, Brendan Fairclough, Josh Bryceland. Solo per coltivare un po’ il vivaio.
In Italia il livello non è così alto perchè non c’è voglia di andare in bici, chi inizia ha l’idea di fare un salto, un bel trick o qualche impresa estrema, ma non cura i dettagli per crescere di livello. Il downhill non è per tutti: è per gente giovane, che conosce i rischi e sa che ogni giorno cade e deve rialzarsi. In Italia ci sono tanti stradisti e cross countrysti che si fingono discesisti.
In Gran Bretagna non dimentichiamo poi Dirt, che è quasi monopolista nel giornalismo a livello di downhill, ne dà un’immagine divertente e alternativa, stilosa, alla moda. Sta diventando una comunità mondiale, di stampo inglese, che tutto il mondo sta seguendo.
L’anno scorso eri spesso alle gare da solo. Pensi che ti abbia pesato e che non ti abbia permesso di esprimere tutto il tuo potenziale?
Io sono una persona che non si fa troppi problemi, a volte ho avuto bisogno di un meccanico, ma sono una persona semplice e non penso che non avere una persona che ti segue tutto il tempo non ti permetta di fare un buon risultato. Non c’è nulla che mi manca, mi sono sempre fatto aiutare in caso di grossi problemi dagli altri italiani e dai team internazionali. Roberto Vernassa, gli Ancillotti, Surfing shop, Rommel, mi hanno sempre aiutato. Le squadre italiane sono tutte di alto livello, e sono sempre disponibili ad aiutare gli altri. A volte si fanno un po’ la guerra, ma sono dettagli.
A livello organizzativo, cosa credi sia migliorabile?
La Federazione quest’anno mi è stata vicino, soprattutto al mondiale in Australia, dove ci ha affiancato Alan Beggin: lui è uno che dice sempre le cose che pensa, dà chiarezza ed è competente. Ha fatto sette volte il giro a piedi con me. Antonio Silva si fa sempre un grande fondello per noi: so che ci sono problemi, ma lui è una persona molto coerente, cerca sempre di dare una mano, un consiglio. E ormai sono due anni e mezzo che fa così con tutti gli atleti italiani più forti.
Un altro discorso va fatto per i cronometristi, le gare in Italia non riescono ad avere il prestigio che dovrebbero avere, come succede in Francia o in Svizzera: manca professionalità, ma non nei team o nella Federazione. Non possiamo andare avanti così, che alla prima goccia di pioggia i tempi non vengono presi. Alla fine gli stranieri vogliono correre, andare forte, ma ci rimangono male se non gli si garantisce il minimo dell’organizzazione.
Cosa pensi di poter migliorare nell’immediato della prossima stagione?
Voglio concentrarmi maggiormente sullo stato mentale alle gare: voglio essere più felice e meno stressato, pensare meno ai secondi e agli errori, concentrarmi di più sugli aspetti positivi. La mia squadra cambierà, ne approfitto per ringraziare Dytech e in particolare Maurizio Lazzero, ma è troppo presto per annunciare novità. C’è un progetto ambizioso, la motivazione c’è: ma per ora penso alla neve e ad allenarmi. Ne approfitto per ringraziare anche gli sponsor, GT bicycles, Etnies e la Regione Valle d’Aosta.
Nella stagione alle porte, l’Abetone ospiterà l’italiano, e la coppa sarà quasi interamente in Europa. Ti piace il calendario?
Sì, molto. E soprattutto per il fatto che le trasferte saranno ridotte, con dei costi più sostenibili per noi atleti. L’Abetone mi piace, negli ultimi due anni sono sempre stato il migliore degli italiani, e questo mi dà sicurezza. Del resto del calendario, Champéry mi fa paura, l’ho vista solo in video, e la metà del video era di cadute. Poi tornerà la Val di Sole, uno dei percorsi più tosti in assoluto, e ancora iXS Cup a Pila, la mia pista preferita, un percorso veloce, molto valido. In coppa tutti vogliono tornarci, e io mi sono innamorato così tanto di questo posto che ci sono venuto a vivere. Qui tutti i sentieri di freeride hanno tratti difficili, le sette piste del bike park sono davvero stilose, e in coppa e all’italiano l’organizzazione ha spaccato.
Qual è il tuo maggior pregio?
Prendo la bici e vado. Non mi faccio grossi problemi, non ho rituali strani e mi adatto bene su ogni pista, mi difendo sul bagnato e non mi faccio nessun problema su nessun aspetto del downhill. Mi adatto bene all’estero e non è un problema viaggiare.
E il tuo principale difetto…
Fino all’anno scorso, era cadere. Cadevo sempre. Mettevo le protezioni, ero quasi un maniaco, ma in bici esageravo sempre, avevo meno paura di farmi male e alla fine cadevo.
A quando un inverno in Nuova Zelanda per allenarti al caldo?
Credo mai, perché mi piace sciare – non posso farne a meno, piuttosto andrei in estate in Nuova Zelanda – e credo che sia importante staccare. Appendo la bici al muro un paio di mesi perché altrimenti mi brucio ogni motivazione.
Ti è piaciuto scrivere il diario per MTBnews.it?
Il mio diario su MTBnews.it è iniziato con molte motivazioni, e mi sono dato da fare per creare qualcosa di nuovo e di diverso. A metà stagione, durante le grandi trasferte in Canada e in Australia, ho avuto un periodo difficile anche a livello personale, e non sono riuscito a mantenere lo stesso ritmo. In particolare in Canada, non sono riuscito a scrivere al livello precedente, e ho preferito non mandare nulla, perché MTBnews.it è un sito troppo serio e sempre aggiornatissimo, lo avrei rovinato. In quel periodo, andare in bici tutto il tempo e scrivere non lo trovavo più essenziale. Poi ho staccato un paio di settimane, ed è tornata la voglia, più di prima.
Spero che Alessandro Mano abbia ancora voglia di correggere tutti i miei errori, alla fine ci passa sicuramente più tempo di me, su questo diario. Spero che i miei racconti siano piaciuto ai lettori, e che abbiate tutti voglia di leggerli di nuovo nel 2010.
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