Gary Fisher e la seconda giovinezza della mountain bike
Le icone viventi della mountain bike sono poche. Tra loro, Gary Fisher è la persona che è sempre stata nel posto giusto al momento giusto: folle a puntino al tempo della Repack; ingegnoso quando si trattava di dare forma ai primi telai pensati appositamente per il fuori strada “spinto”; ricco e famoso nell’epoca d’oro, a metà degli anni ’90, quando il circuito delle competizioni ha toccato il suo culmine.
A fine 2007, quando cyclingnews.com gli ha chiesto un’impressione sulla situazione attuale delle ruote grasse, lui ne ha tirata fuori un’altra dal cilindro: la seconda giovinezza della mountain bike. Il suo pensiero è un inno al freeride.
«Essere un cross countrista secchione in una tutina di lycra – scherza – era una delle cose che un ragazzo non avrebbe mai fatto fino a pochi anni fa. Qualche volta le cose per migliorare devono toccare il fondo, e credo che il nostro sport ci fosse vicino». La svolta? Si è avuta quando «ci si è accorti che la mountain bike non è uno sport motoristico, con un motore umano, ma uno sport di abilità: tutto è successo con la crescita del movimento “jump” e del freeride».
Fisher elogia le nuove discipline, e attribuisce loro la capacità di aver fatto tornare il mercato ciclistico ad una crescita in doppia cifra: «Le vendite quest’estate sono tornate a crescere di più del dieci per cento rispetto all’anno scorso. E’ fantastico».
L’evoluzione di questo sport, soprattutto nel nord America, ha avvicinato decine di migliaia di giovani a questo sport. I motivi sono principalmente due, secondo Fisher: la creazione di nuovi percorsi, dai bike park in poi, ha permesso a tutti di andare in bici su percorsi ben lavorati: «Se si hanno a disposizione grandi percorsi, la qualità della bici passa in secondo piano», commenta; lo sviluppo tecnologico ha permesso anche ai meno dotati tecnicamente di provare nuove esperienze. Resta però il problema dell’iper-specializzazione dei mezzi, dal cross country al downhill, dal dirt al freeride, dall’enduro allo street: «In questo caso tornano utili le nuove tecnologie – chiude – con internet in primo piano. Ma a fare la differenza è e sarà sempre il contatto umano: i venditori locali e di fiducia sono ancora cruciali per il successo del nostro sport».
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